Eiaculazione precoce maschile

Paolo e FrancescaLa incontrai a una grande festa in un parco. C'erano bandiere e la gente ballava. Era seduta su una panchina e chiacchierava con una mia amica che avevo corteggiato a lungo senza ottenere neppure un bacio. Restai senza fiato: era bellissima. Bella come le ragazze che vedi sui giornali. Dopo due giorni ci rivedemmo da soli e facemmo l'amore. Mentre l'accarezzavo l'emozione mi strattonava dentro e quando lei fu nuda, e io guardai i suoi seni perfetti e i capezzoli piccoli eretti e scuri, fu come se il vento mi avesse strappato dal letto e sbattuto contro le nuvole. Quando appoggiai il mio sesso contro la sua conchiglia sentii che ero eccitato in modo mostruoso, cercai di controllarmi ma anche lei era molto eccitata e spingeva contro di me per farmi entrare. Sentii contro il mio glande l'attrito ruvido dei suo peli e poi il caldo umido e scivoloso della sua natura. Mentre cadevo dentro di lei capii che tutto era perduto. Non avevo nessun modo per controllare la mia eccitazione...
Stavo raggiungendo l'orgasmo. Il piacere quasi non lo sentivo tanto ero disperato. Avrei voluto amarla a lungo, darle piacere, sentire il suo desiderio crescere fino al punto più alto. Invece stavo già svuotandomi dentro di lei con la gola serrata in un nodo. Mi agitai furiosamente, nonostante sentissi un poco di fastidio perché l'eiaculazione era terminata e io avrei dovuto invece fermarmi per qualche secondo. Con quei colpi disperati cercavo di darle un po' di piacere. Dentro di me percepivo un'angoscia dolorosa e un'enorme vergogna.
Ero un eiaculatore precoce.
Mi succedeva da tempo. All'inizio dopo l'orgasmo mi limitavo ad accasciarmi tristissimo. Poi avevo imparato a sfruttare quel poco tempo nel quale ancora il mio sesso manteneva una certa durezza.
A volte così, col pisello barzotto, mi era riuscito di combinare qualcosa. Ma quella volta ero troppo deluso. La desideravo tantissimo ed ero durato veramente quattro secondi.
La coscienza del fiasco assoluto nel quale mi ero esibito mi umiliò talmente che anche quel residuo di erezione svanì istantaneamente e il mio pisello sgusciò fuori dal suo paradiso, restringendosi a vista d'occhio, fino ad arrivare alla misura di una nocciolina americana. Era successo di nuovo.
Ero disperato. Odiavo il mio pisello, odiavo il mondo, odiavo il sesso. Chi ha provato un disastro sessuale sa cosa voglio dire. Per mia fortuna sapevo dove fosse la clitoride per cui cercai di darmi un contegno, fare finta che non fosse successo nulla di grave e cercare di farle piacere accarezzandola e baciandola. È in quei momenti che uno deve dimostrare di essere uomo. Riuscire a soddisfarla sessualmente con altri mezzi, quando "Hulk il Trivellatore", quel pirla, ha fatto cilecca. Se uno è un vero uomo si ingegna, sennò si mette a piangere.

Ululando di terrore precipitavo in un circolo vizioso
Era veramente terribile come situazione. Avevo provato di tutto. Mi fermavo quando mi eccitavo troppo. Oppure uscivo da lei per calmarmi un attimo. Ma ormai ero prigioniero del meccanismo perfetto dell'ansia.
Durante i miei primi rapporti sessuali a volte era successo a volte no. Ma io avevo iniziato a preoccuparmi moltissimo. Era diventato un pensiero fisso. Fin da quando iniziavo a baciarmi con una ragazza mi chiedevo quanto sarei durato. E mentre la penetravo stavo attento a sentire i segni premonitori che indicavano che l'orgasmo stava arrivando. E più li spiavo, più li temevo e più arrivavano in fretta. E anche quando riuscivo ad avere una seconda erezione, e a tentare di ripetere l'impresa, duravo pochissimo.
Ma era molto difficile che arrivassi a una seconda erezione perché dopo il primo insuccesso ero così tanto triste e avvilito che niente più mi ridava il desiderio. Avevo diciannove anni ed ero molto depresso.
Mi era poi capitato di stare a lungo con una ragazza che era molto femminista (correva l'anno 1974) e quando io venivo subito lei si arrabbiava e mi diceva che ero un egoista e pensavo solo al mio piacere. Io non riuscivo a spiegarle che avrei voluto con tutte le mie forze durare per ore e farla impazzire di piacere ma che proprio non ne ero capace. Di provare piacere poi non se ne parlava.
Sì, sentivo quella sensazione ma non me la godevo, non riuscivo ad assaporarla perché ero attanagliato dalla tristezza della sconfitta. Cercando di comportarmi bene con lei iniziai a occuparmi seriamente dei cosiddetti preliminari. Cioè prima della penetrazione dovevo accarezzarla e baciarla di modo che fosse più eccitata. Ma non riuscivo a farlo con interesse.
Per me erano gesti meccanici. Toccarla lì, toccarla qui, era una specie di compito in classe. E io sapevo già che non sarei riuscito a rispondere alla domanda più difficile. Poi la situazione si aggravò ulteriormente perché lei non voleva più che la soddisfacessi in altro modo. Voleva raggiungere l'orgasmo con la penetrazione. Anche per lei era diventata una fissa. Io pregavo che si ripetesse un fenomeno strano che mi accadeva ogni tanto. Se riuscivo a prendere un certo ritmo di su e giù era come se mi si anestetizzasse il pisello. Non sentivo nessun piacere ma potevo andare avanti per parecchio, se riuscivo a non perdere quel ritmo.
Ma era un fenomeno raro e non ritrovavo mai il modo di fare giusto, perché si ripetesse. Il fatto che facendolo non provassi piacere non mi interessava tanto, quel che mi importava era di fare finalmente una bella figura. La situazione poi era aggravata dal fatto che avevamo poche occasione di vederci e di trovare un posto tranquillo dove far l'amore.
In effetti, in un periodo che avevamo potuto fare sesso tutti i giorni, avevo notato che i miei tempi si erano un poco allungati. Speravo che se fossi riuscito a far l'amore tutti i giorni, tre volte al giorno, alla fine sarei riuscito a durare abbastanza a lungo. Una volta, sotto l'effetto di un overdose di sesso, si era manifestato il fenomeno del pistolino anestetizzato e l'avevo fatto quasi per un'ora. Alla fine ero stremato e anche lei era tutta arrossata. Mi faceva anche un po' male perché ci avevo dato dentro con troppa irruenza. Ma mi sentivo proprio felice. Ero un grande trombatore.
Disgraziatamente si trattò di una guarigione momentanea. Eravamo andati in vacanza insieme a casa di amici. Quando tornammo a Milano non ci vedemmo per una settimana. Alla prima occasione amatoria ritornai a essere una frana. Il fatto di essere riuscito qualche volta a resistere a lungo mi sembrava un'ulteriore beffa. Così infatti sapevo come fanno i veri uomini. Mi illudevo di essere "guarito" e poi mi ritrovavo ad annaspare nel fango gelido.

CONTINUA

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