Com'è fatta la madre di tutte le delizie

Il sesso femminile è bellissimo. L'abbiamo già detto ma ripeterlo non fa mai male. Di tutte le bellezze del creato la passera è la meno celebrata da pittori e poeti.
Per secoli i pochi che si sono dedicati a ritrarla sono stati considerati dei maniaci sessuali. Solo negli ultimi decenni c'è stata una proliferazione di disegni che generalmente però sono orrendi graficamente e imprecisi sul piano anatomico. Questa lacuna culturale si riflette sul linguaggio.
I vocaboli che indicano le varie parti anatomiche della passera sono brutti, hanno suoni cacofonici e angoscianti (vagina, vulva, utero...) e soprattutto il vocabolario è scarno e spesso non esistono parole specifiche per le singole parti ma allocuzioni come "grandi labbra" o "monte di Venere" e "punto G". Per gli studiosi della lingua questo è un chiaro segnale: la dimestichezza di un popolo con un argomento si misura infatti osservando la ricchezza dei vocaboli che si usano per parlarne.
Ad esempio gli Inuit (eschimesi) hanno molte parole singole per indicare le diverse qualità della neve e del ghiaccio ("qanik" è la neve polverizzata, a grani sottili, "apuhiniq" la neve che il vento ha compresso in dure barricate, "maniilaq" le zolle di ghiaccio, "Hiku" il ghiaccio permanente ecc.).
Ovviamente una simile dovizia di vocabolario non la troviamo tra i Tuareg, del deserto del Sahara, che probabilmente non hanno neanche una parola per indicare la neve e quando ne parlano dicono "acqua che è tanto fredda da diventare solida e bianca."
Ecco, dal punto di vista anatomico noi siamo in un vocabolario sessuale desertico. Siamo i Tuareg del sesso. Persino gli eschimesi hanno una ricchezza di vocabolario sessuale maggiore della nostra, nonostante il fatto che vadano in giro molto vestiti e abbiano poche occasioni per guardarsi come sono fatti sotto. E devono pure farlo in fretta che sennò gli si congela (anche dentro gli igloo c'è un freddo cane, che col caldo sennò il ghiaccio di cui sono costituiti si scioglierebbe e gli crollerebbe addosso).
Eppure, dicevamo, hanno più vocaboli dei nostri. Per non parlare di alcune popolazioni dell'Oceania (come i Mangaiani) che hanno vocabolari ancora più ricchi.
Le grandi labbra hanno nomi specifici, così pure le "piccolissime labbra" che proteggono l'ingresso vero e proprio della vagina. Hanno nomi diversi le varie forme delle piccole labbra, o il bordo superiore in rilievo del glande maschile, così pure le "chiappette del glande" e la zona di maggior sensibilità erogena, sottostante, che si protrebbe definire come "clitoride maschile" .
Uno dei problemi che abbiamo trovato scrivendo quest'opera è proprio la mancanza di vocaboli che ci costringe spesso a complicati giri di parole. Per fortuna è tutto più semplice se si ricorre ai disegni. Per concludere vorremmo notare che la povertà di vocaboli diventa indicatore di un livello veramente basso di cultura sessuale nella nostra tradizione culturale. Infatti i vocaboli che indicano l'anatomia genitale non sono parole tratte dal linguaggio corrente. Si tratta invece di termini scientifici, inventati dai medici per poter parlare in ambito medico e che solo recentemente sono diventati di uso comune almeno negli strati più scolarizzati della popolazione. Se prendiamo a controprova di questo i dialetti, troviamo che i termini che indicano il sesso femminile non sono tanti. Anzi è uno solo e generico, al massimo c'è una parola per indicare la clitoride ma più che una parola è una metafora nel parlato che indica qualche cosa che c'è ma non ha nome.

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